BASTA FAST FASHION, MODA DEVE RISPETTARE AMBIENTE E DIRITTI UMANI
Quando si parla di #ambiente e di #crisiclimatica spesso si ignora che la produzione #tessile è responsabile di circa il 20% dell'inquinamento globale dell'acqua potabile a causa dei processi a cui i prodotti sono sottoposti, come la tintura e la finitura, e che il lavaggio di capi sintetici rilascia ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei nostri mari.
Ma l’industria della #moda ha un impatto gigantesco anche sui #dirittiumani in tutto il mondo, come ci ricorda oggi il triste anniversario del crollo del #RanaPlaza del 2013, che provocò la morte di 1134 lavoratori e lavoratrici che, in condizioni totalmente precarie, producevano abbigliamento per i principali marchi di #fastfashion globali. Per noi occidentali.
Per questo motivo in occasione della #fashionrevolutionweek, vogliamo richiamare l’attenzione delle istituzioni nazionali ed europee sulle terribili condizioni di lavoro di milioni di persone sottopagate e sfruttate e sul depauperamento delle risorse naturali a causa di un modello di business non più sostenibile, che premia la crescita e il profitto. Al Parlamento Ue abbiamo chiesto normative stringenti, affinché si pongano obiettivi vincolanti di riduzione per il consumo tessile e si agevoli l’affermazione di un modello circolare. Ma è importante che i cambiamenti partano dal basso e che cittadini sappiano qual è il reale impatto sull’ambiente e sui diritti dei vestiti che acquistiamo, così da poter scegliere consapevolmente un modello che si affranchi dalle logiche di business dominanti, assegnando un ruolo centrale all'ambiente e privilegiando le pratiche del riuso e del riciclo. In questo modo si riuscirebbe a fermare la tendenza per cui ogni anno dei 70 milioni di tonnellate di abiti usati buttati il 48% è ancora perfettamente utilizzabile. Per non parlare degli abiti invenduti. Sapete che fine fanno? Distrutti. Uno spreco assurdo.
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